Le mani sudate di un mezzo batterista

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Le mani sudate di un mezzo batterista

ottobre 2018
Il titolo può trarre in inganno: immaginate l’imbarazzante spettacolo nel vedere svolazzare nell’aria una serie di bacchette scivolate dalle mani sudate di un mediocre batterista. Beh, la parte del mezzo batterista, inteso come mediocre, potete anche lasciarla, mentre la patologica sudorazione eccessiva delle mani non è esattamente quello che voglio esprimere con il titolo di questo racconto, il racconto di una mia passione, una passione per uno strumento musicale che è difficile da eliminare.
Perché dovrei eliminarla? Perché ho appena compiuto 55 anni? No, l’età non c’entra. Se avrete la pazienza di continuare a leggere, forse riuscirò a spiegarlo.
Le mani sudate
Mio padre (Giovanni) in gioventù suonava, per hobby, la batteria in varie orchestrine di ballo liscio. Quindi, vi chiederete, avrai iniziato a suonare la batteria di tuo padre fin da piccolo? No, in realtà mio padre smise di suonarla prima della mia nascita. La leggenda narra che fu mia madre (Silvana) a “costringere” il Ringo Starr della famiglia a smettere di girare a destra e a manca per paesini.
Il primo strumento musicale (più giocattolo che strumento) su cui ho messo le mani sopra era un organo della Bontempi che mi fu regalato quando frequentavo le scuole elementari. Ricordo le piacevoli ore passate a strimpellare i vari motivi che “leggevo” nello spartito in dotazione. L’organo fece una brutta fine qualche anno più tardi quando, parcheggiato in garage, la mia sorellina Michela decise che aveva bisogno di una “rinfrescata” e con un bel pennello zuppo di vernice lo ricoprì ben bene di verde. In quell’occasione ne fece le spese anche una parte della fiancata della Fiat 850 lì vicino. Se ve lo state chiedendo, no, mia sorella non è diventata una pittrice.
Alle scuole medie il classico flauto dolce utilizzato nelle ore di musica mi alzava un po’ la media dei voti, non leggevo tanto bene la musica, ma riuscivo a compensare suonandolo bene “a orecchio”.
E la batteria? Ancora niente? La passione per questo strumento crescerà molto lentamente negli anni, ma sono in grado di stabilire il momento in cui, dentro di me, si accese qualcosa. Purtroppo non so datare esattamente l’episodio, ma di sicuro eravamo verso la metà degli anni ‘70.
Dopo aver cenato tutti insieme a casa di una mia zia (l’occasione era una festa paesana) mio padre mi portò dove suonava un’orchestra di liscio. Il suo hobby giovanile da “picchia pelli” si era sopito, ma non la passione per il ballo che condivideva con mia madre. In quell’occasione non era lì per ballare, ma solo per ascoltare l’orchestra che, a suo dire, “meritava”. Ci mettemmo proprio davanti al palchetto rialzato dove suonava il gruppo. Ecco fu proprio lì, di fronte alla grancassa del batterista, che le mie mani iniziarono a sudare ed il mio cuore cominciò a battere più forte; sensazioni paragonabili alle prime cottarelle di quei tempi. Questa emozione non si tradusse immediatamente nella voglia di imparare quello strumento che, sentito dal vivo, riusciva a suscitare in me quella reazione. Ci vorranno altri anni di incubazione prima di far maturare questa passione.
La poltrona e le Poste
La musica che si ascoltava a quei tempi in casa mia usciva prevalentemente da una radio o dal televisore. Mio cugino Roberto aveva un bell’impianto stereo che ogni tanto andavo ad ascoltare. Non avevo ancora un genere musicale preferito, ma l’esigenza di avere un riproduttore musicale tutto mio per ascoltare la musica quando e quanto mi pareva si faceva sentire. Fu così che arrivò un bel regalo: radioregistratore stereo portatile nero (purtroppo la marca e modello si sono persi nella memoria). Oltre ad un catalogo musicale dove ordinavo qualche audiocassetta, la “banca” vera e propria dove poter scegliere o farsi scegliere da un genere musicale era un vicino di casa di Roberto, il quale aveva una vera e propria miniera di dischi in vinile. Dopo un periodo di puro innamoramento per le colonne sonore di Ennio Morricone passando per i Queen, Van Morrison e Grand Funk Railroad, il mio interesse si soffermò sui Deep Purple e soprattutto sui Led Zeppelin.
Adesso si chiamerebbe pirateria musicale, ma in quegli anni registrare su audiocassetta un disco altrui era la cosa più naturale ed ovvia quindi, audiocassetta dopo audiocassetta, nacque la mia piccola collezione.
Ma la poltrona e le Poste cosa c’entrano?  Eh, nella mia camera, condivisa con mia sorella (la pittrice), c’era una povera poltrona che ha dovuto subire per anni colpi sui braccioli, sul sedile e sullo schienale causati da due pezzi di legno modellati da me: insomma due bacchette fatte in casa. Ebbene sì, l’ascolto di tanto hard rock aveva fatto terminare il periodo di incubazione di quel virus preso anni prima davanti alla grancassa di quella batteria suonata da un batterista sconosciuto. Le prime bacchette le avrei comprate molto tempo dopo perché mi sentivo a disagio entrare in un negozio ed acquistare delle bacchette sapendo di non avere una batteria su cui batterle. Può sembrare assurdo, ma era come rispettare un codice non scritto, col senno di poi direi un codice inesistente. Quando avvertivo il bisogno di battere un po’ la povera poltrona, mettevo nel radioregistratore musica non troppo complicata dal punto di vista ritmico e picchiavo, picchiavo, picchiavo! Un giorno, rientrando da far spese, mia madre entrò in camera ed esclamò: “Marco, ti si sente dall’Ufficio Postale!”
L’anno del “primo contatto”
Arrivò il tempo di prestare un anno al servizio militare, salutai la poltrona sopravvissuta anche a delle vere bacchette e mi buttai in quel mondo. Mi assegnarono un incarico in artiglieria. Sì, dove ci sono le batterie, altro tipo, ma pur sempre batterie. Un’altra sorpresa fu qualche mese più tardi, quando scoprì che il batterista del complessino della caserma stava per congedarsi e cercavano un nuovo batterista. I provini erano aperti solo agli artiglieri che prestavano servizio in caserma e non a quelli che facevano le cosiddette guardie ai vari siti strategici della zona quindi non sempre presenti in caserma. Io avevo quel requisito, ma non avevo ancora avuto la possibilità di suonare una vera batteria quindi, nonostante anni di pratica sulla povera poltrona, non ero un batterista.
Nella mia stessa batteria c’era un ragazzo che suonava (veramente) la batteria ed era molto bravo, aveva un pad muto e si esercitava quasi tutte le sere. OK, penserete voi, hanno preso lui, il vero batterista. Purtroppo o per fortuna mia, non era interessato al complessino della caserma che faceva per lo più delle prove e pochissime esibizioni.
Con l’incoscienza dei vent’anni, mi presentai al cosiddetto provino. Ritornò la sudorazione alle mani ed il battito cardiaco aumentò, mentre regolavo i vari pezzi intorno a me. Era la prima volta e la sensazione provata era fifa, fifa allo stato puro! Il chitarrista mi chiese: “Da quanto tempo suoni?” Questa scena andrebbe vista con la colonna sonora di Psycho di Hitchcock, esattamente la scena della doccia con i violini “affilati”. “Da due o tre anni” risposi. Tecnicamente non era una bugia, negli ultimi anni avevo “suonato” una poltrona.
Ho pochi ricordi confusi di quel provino, ma ricordo un pezzo che suonai: “Europa” di Santana. Non lo so se e quanti errori feci, so solo che fu tutta un’emozione dall’inizio alla fine. Da un momento all’altro mi aspettavo che si fermassero tutti e mi mandassero a quel paese, ma stranamente ciò non avvenne. Visto che ero l’unico che si era presentato al provino, si spiega il perché non fui mandato a quel paese. La fortuna però non durò per molto. Dopo una settimana circa si sviluppò un incendio nel luogo delle prove, causato da un cortocircuito di un amplificatore lasciato acceso. L’incendio, anche se non esteso, decretò la fine del complessino della caserma.
OK, però era andata, lo strumento mi piaceva troppo ed il passo successivo sarebbe stato comprarmi una batteria, ma dovevo prima finire il servizio militare e poi trovare un lavoro. La poltrona sarebbe stata ancora vittima di percosse.
In quell’anno ricordo anche che, a casa, nei giorni di licenza, mi costruì un allenatore con una tavoletta di legno e della gomma e acquistai all’edicola di una delle tante stazioni di passaggio per andare in licenza il libro “La batteria – Stili protagonisti e tecniche” di Andrea Centazzo che lessi velocemente fino a quando arrivai a pagina 182, il paragrafo si intitolava “Gli accompagnatori: Appice, Bonham, Mason, Paice e soci”. Ci vollero un po’ di anni per digerire quel giudizio che toccava due batteristi (uno già defunto) che in quel periodo ammiravo molto. Cercai anche di seguire qualche dritta dell’artigliere batterista già citato, ma era troppo avanti rispetto al suonatore di poltrone.
Arrivò il congedo e l’anno del primo fugace contatto si concluse.

disegno batterista

Giancarlo, un mio compagno di camerata, fece questo disegno. I tom non erano così numerosi e, ovviamente, non erano disposti in quel modo.
Habemus batteria
L’estate dopo il congedo passò velocemente e fu caratterizzata da una vacanza in Corsica con tre amici: Marco, Massimiliano e Monica. Mezzo di locomozione: bicicletta. Musica da portare: per un errore organizzativo, solo un’audiocassetta dei Blues Brothers. Portai con me le bacchette e l’allenatore fatto in casa ed ogni tanto, nella tenda da campeggio, “suonavo” insieme a Belushi e Aykroyd. La poltrona fu molto contenta di quelle due settimane di riposo.
Dopo quell’estate trovai finalmente un lavoro. Era un buon lavoro che mi teneva però lontano da casa dal lunedì al venerdì. Non avevo molto tempo da dedicare al mio hobby musicale, ma ciò mi avrebbe permesso di acquistare finalmente una batteria.
L’automobile, la mia prima e nuova auto, venne prima della batteria e questo influì molto sull’acquisto di quest’ultima. Mio padre trovò una batteria usata da un conoscente, era abbastanza vecchia, ma tenuta bene. Non chiedetemi la marca perché non credo l’avesse, ma “ha girato mezza Europa” mi disse il proprietario. Affare fatto, presa e caricata sulla mia auto nuova.
Forse sarebbe stato meglio caricare una batteria nuova su un’auto vecchia? No, anche adesso penso che la scelta delle priorità fu giusta.
Adesso si presentò il prevedibile problema di dove suonarla senza subire maledizioni dai vicini di casa o dai propri familiari. Non avevamo una cantina ed il garage era già super affollato. La fortuna aiuta gli ex suonatori di poltrone: la casa vicino alla nostra era libera ed aveva una cantina! La casa era di una cugina di mia madre, il permesso di usare la cantina c’è!
Quando rientravo a casa nei fine settimana, dedicavo abbastanza tempo a suonare in quella cantina in compagnia del radioregistratore che riproduceva pezzi di vario genere. Piano piano la vecchia batteria fu rivestita con un sobrio colore bianco, sostituì il rullante con uno più alto ed aggiunsi un piatto crash.
Adesso che ho una batteria, sono un batterista? Mah, all’epoca ne ero convinto, adesso un po’ meno.
AAA musicisti cercasi
Un batterista, come un poltronista, da solo non è niente. Dopo anni di poltrona e mesi  di batteria in cantina da soli ci si annoia; anche se la cantina fosse stata piena di buon vino, ci si sarebbe annoiati. Se il cugino Roberto mi ha avvicinato alla buona musica, il cugino Antonio mi ha aiutato a trovare il primo gruppo per suonare. Una sera d’estate mi presentò Massimo, suonava la chitarra elettrica. Le prime esperienze in compagnia, escluso quel brevissimo periodo da militare, si svolsero in un locale adibito a lavanderia di un albergo dove Massimo lavorava nei mesi estivi. Gli altri componenti di questo insolito gruppo erano Eugenio al basso e Attilio alle tastiere. Ricordo questo periodo con molta nostalgia forse perché il livello tecnico era molto inferiore al divertimento, forse perché ho delle incisioni su audiocassetta, le prime di una lunga serie o forse più semplicemente perché non ci prendevamo troppo sul serio.
Dopo questa prima breve esperienza, ovviamente ce ne furono altre sempre con Massimo alla chitarra. Il resto del gruppo era cambiato, tra i nomi che ricordo: Alessandro, Alessio, Francesco e Ludovico. Forse anche le ambizioni erano cambiate. Iniziarono così una serie di prove (per me solo nei fine settimana) finalizzate a delle uscite estive nelle varie feste paesane, suonando cover di artisti italiani e stranieri. Anche il locale delle prove cambiò con uno più ampio e isolato per poter alzare il volume senza creare fastidio al vicinato.
Nello stesso periodo feci anche una specie di provino con dei ragazzi che avrei incontrato di nuovo anni dopo: i Trappers. Non facevano cover, avevano pezzi scritti da loro e cercavano un batterista “tranquillo”, ma a quei tempi ero un po’ “scalmanato” ed il provino non fu proprio un successo.
Ricordo un episodio particolare di quel periodo. Quando iniziai una nuova avventura musicale con Fernando e Roberto L., nella cantina di un paesino dove facevamo le prime prove, piombò improvvisamente nel locale il proprietario con uno scimpanzé in braccio. Capirete bene perché questo episodio mi è rimasto impresso nella memoria.
La vicinanza di una batteria, anche se vecchiotta e rattoppata, riaccese la scintilla nelle mani e nei piedi di mio padre e fu così che diventò anche la sua batteria, quando non la usavo io. Insieme ad un tastierista/fisarmonicista iniziarono a provare per poi riuscire anche a fare qualche serata. In programma c’era l’acquisto di una nuova batteria un po’ più seria, così avrei lasciato la vecchia a lui.
Tra l’ultimo dell’anno 1986 e capodanno 1987, dopo aver fatto dei giri con amici (era quasi mattina), mi recai in un paesino dove mio padre suonava e fui quasi costretto a suonare non ricordo cosa. Qui sotto c’è la testimonianza:

batteria acustica
  
Purtroppo è l’unica foto (un po’ ridicola) che ho della batteria che aveva girato mezza Europa.
Control-Alt-Canc
"La vita è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita" diceva la madre di Forrest Gump al figlio. Tutto procedeva bene, tutti i “comparti” della mia vita erano piacevolmente pieni quando, una fredda mattina di inverno, un brutto incidente cambiò radicalmente la mia vita. Da persona normodotata, sono diventato un disabile: per essere più precisi, un paraplegico. A quei tempi si sarebbe detto in un altro modo, ma il succo non cambia e citando il buon vecchio Bartali: “... l’è tutto da rifare!”
Tranquilli, vi risparmio l’elenco delle ovvie difficoltà che ho dovuto, che devo e che dovrò affrontare ogni giorno e passo direttamente al mio rapporto con la batteria in questo mio nuovo e non desiderato inizio. Attaccai al chiodo il mio hobby musicale insieme all’altro mio hobby: le escursioni in montagna. Attaccato a quel chiodo ci sono andate a finire tante, troppe cose, ma ogni volta che pensavo alla batteria, le riflessioni che facevo erano più o meno queste: “Se l’organo della Bontempi mi avesse fatto appassionare alle tastiere oppure il flauto dolce agli strumenti a fiato, forse sarebbe tutto più semplice ora, continuare a suonare qualcosa.”
I batteristi, purtroppo, usano anche i piedi. “Ma i percussionisti generalmente non li usano.” direte voi. Certo, ma quando ero davanti a quel palchetto rialzato e quando maltrattavo la povera poltrona, era una batteria che ascoltavo ed era una batteria che immaginavo di suonare. I suoni hanno la loro importanza, mi sono sempre stati più “simpatici” quelli di una classica batteria acustica.
Il mezzo batterista
Gli anni ‘80 stavano per finire, la casa che prima frequentavo da solo, suonando in cantina, era diventata la casa dove ci siamo trasferiti, perché più adatta alle mie nuove esigenze. Tra i vari amici vecchi e nuovi che venivano a trovarmi c’era Carlo, una vecchia conoscenza fin dai tempi delle superiori e bassista dei Trappers. Fu lui che mi convinse ad andare in un famoso e fornitissimo “magazzino” del Nord Italia per cercare una batteria elettronica dalla quale potevo iniziare una “nuova vita musicale”. Non fu facile convincermi, per me quell’hobby era forzatamente cancellato ed i suoni delle batterie elettroniche di allora non erano abbastanza realistici come lo sono adesso. Va bene, senza prendere un impegno concreto, si partì.
Arrivati a destinazione, ricordo lo stupore nel vedere tanti strumenti musicali tutti insieme. Al ritorno dal viaggio ero possessore di una batteria Simmons (quelle con i pad esagonali) usata e una Roland TR-626 che avrei usato come generatore di suoni. Adesso mi aspettava un duro “lavoro” nel cercare di compensare la mancanza dell’uso degli arti inferiori con quelli superiori. Ovviamente i limiti erano evidenti e dovetti scordarmi certi ritmi che prima erano semplici, ma che adesso erano diventati impossibili. Iniziò così il “viaggio” del mezzo batterista.
Dopo un po’ di mesi di prove con Carlo al basso, Alessio P. alla chitarra e Angela alle tastiere per organizzare uno spettacolino musicale a favore del centro parrocchiale del mio paese, arrivò il momento del debutto. Ecco di nuovo le mani sudate insieme alle palpitazioni, chissà se riuscirò a contenere le emozioni. Fortunatamente non andò troppo male per essere un’ennesima prima volta. Ecco una foto di quella serata:

batteria elettronica Simmons

La grancassa della Simmons era diventata un piatto ride ed il charleston ovviamente era sempre chiuso. Piatto crash e charleston erano quelli della vecchia batteria acustica.

Avevo ritrovato la passione per quello strumento che, anche se “castrato” nei suoni e nel modo di suonarlo, riusciva a darmi ancora qualcosa. Adesso quel chiodo era un po’ più alleggerito dal peso. Avevo però bisogno di ottimizzare il feeling con lo strumento in base alle mie limitazioni e migliorare la qualità dei suoni quindi, dopo una breve ricerca tra riviste del settore, rinnovai il mio set ed acquistai un Roland Octapad II Pad-80, due pad PD-31 ed il modulo sonoro R-8M sempre Roland. Qui sotto, parte del set descritto:

Roland Octapad II Pad-80 e pad PD-31

Le sensazioni provate ed il risultato finale erano nettamente migliorati e d’ora in poi “fare musica” avrebbe riempito gran parte delle mie giornate e la mia casa sarebbe stata frequentata da parecchie persone munite di strumenti musicali.
Ritornai a suonare con i vecchi amici Massimo, il chitarrista con cui ho avuto il piacere di suonare la prima volta in un gruppo, Eugenio, che nel frattempo era passato dal basso alla chitarra e anche con Alessandro.
Alcune audiocassette ritrovate di recente mi ricordano le ore un po’ “pazzerelle” passate con Andrea e Roberta, altre invece mi ricordano la stanza delle prove piena di strumenti con altrettanti amici o semplici conoscenti che li suonano: Alessandro R., Bruno, Claudio, Federico, Riccardo più altri già citati.
L’esperienza più lunga è stata con i Trappers (Andrea P., Attilio P., Carlo, Gabriele e Paolo). Oltre al piacere di suonare e registrare pezzi scritti da loro, ebbi la possibilità anche di fare un po’ di serate live e, addirittura, partecipare ad un festival musicale (no, non quello di Sanremo).
Per quanto riguarda la storia di questi amici, vi rimando a questo indirizzo traccenelvento.altervista.org dove potrete anche ascoltare alcune canzoni.
Sono stati anni pieni di impegni musicali che mi hanno fatto passare molto tempo immerso in quel mondo dove tutto si acquieta, dove tutto si livella, ma purtroppo, ad un certo punto, i suoni campionati e lo strumento che suonavo a metà, non bastavano più. Sentivo crescere dentro di me sempre di più la voglia di “cavalcare” di nuovo una batteria vera, una batteria acustica. Premere sul pedale della grancassa e del charleston mentre le mani fanno il resto.
Ovviamente ero consapevole (come lo ero anni prima) che questo non sarebbe stato più possibile, ma non accettavo più compromessi. Nemmeno il coraggioso esempio del batterista dei Def Leppard (privo di un arto superiore) mi fu di aiuto e decisi così di abbandonare tutto, riattaccando a quel chiodo questa mia passione. Il mezzo batterista è durato poco più di tre anni, tre anni molto intensi e poi si è eclissato o nascosto da qualche parte.
Rimbalzi finali
Adesso, mentre sto scrivendo, sono passati circa 26 anni da quell’addio necessario, ho altri hobby ed ho scartato molti cioccolatini dalla scatola della vita, alcuni amari e disgustosi, altri inaspettatamente deliziosi. Nel corso di questi anni senza suonare ci sono anche stati brevissimi “ritorni di fiamma”, subito spenti vendendo piano piano tutta l’attrezzatura musicale accumulata.
La decisione di scrivere questo breve racconto è dovuta principalmente dal fatto che, negli ultimi mesi, ho ripreso in mano un paio di bacchette ritrovate in un cassetto e le sto usando su un vecchio allenatore della Remo modificato da me anni prima, sostituendo la pelle originale con un paio di strati della rete di una zanzariera.
Non saprei dire se l’esiliato mezzo batterista sta cercando di dirmi qualcosa oppure se è solo un episodio che presto svanirà, so solo che ogni rimbalzo delle bacchette sulla superficie mi rilassa e mi fa stare bene.

pad allenatore Remo

Il rumore sordo, attutito dall’allenatore, non richiama alla mente nessun altro suono che potrebbe far scattare dentro di me la frase: “Dai, mezzo batterista, riprovaci!”.

Questo breve racconto è stato scritto da un mezzo batterista, da meno di un decimo di scrittore, da una congiunzione semplice in questo universo di parole.
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